Bed & breakfast in condominio. Non è sufficiente l’approvazione dell’assemblea se il regolamento contrattuale ne vieta la destinazione
Con una recente ordinanza la Corte di Cassazione stabilisce che la legislazione in materia urbanistica non può comportare un automatico recepimento della disciplina nell’ambito di rapporti privatistici
Il caso. La controversia in questione origina dall’impugnazione proposta da un Condominio contro la delibera assembleare che aveva autorizzato due condomini allo svolgimento di un’attività di bed & breakfast all’interno dell’unità immobiliare di loro proprietà esclusiva. Rigettata l’impugnazione dinanzi al Tribunale, la medesima trovava accoglimento in sede d’appello: convincimento del giudice del gravame era infatti che «tale delibera, assunta a maggioranza, si ponesse in contrasto con l’uso abitativo contrattualmente prestabilito nel regolamento condominiale e, in particolare, con i patti speciali allegati agli atti di divisione dell’immobile, costituenti regolamento condominale contrattuale e nei quali era previsto che “i proprietari del fabbricato si impegnano sin d’ora a destinare esclusivamente ad abitazione singoli piani loro assegnati, impegnandosi categoricamente a non modificare tale destinazione”». Da un lato, dunque, detta previsione , vietando in maniera specifica e categorica un uso diverso da quello abitativo, non consentiva di includervi un’attività ricettiva di tale natura; dall’altro, la delibera contestata violava l’art. 1102 c.c. «incidendo sui diritti individuali del condomino che subirebbe un deprezzamento del valore della sua proprietà che verrebbe snaturata anche quanto al suo utilizzo tenuto conto che l’immobile è una pregiata villa di campagna con ingresso, viale di accesso e giardino comune». Ricorrevano dunque in cassazione i condomini soccombenti in appello. Questo condominio non è una pensione.
La decisione. I ricorrenti hanno preliminarmente censurato la sentenza impugnata sul presupposto che una legge della Regione Lombardia dispone espressamente che l’esercizio dell’attività di bed and breakfast non determini il cambio di destinazione d’uso dell’immobile. La Suprema Corte ha radicalmente escluso la fondatezza di detto motivo chiarendo che «circa la rilevanza della legge regionale che esclude che il bed and breakfast possa integrare un mutamento di destinazione d’uso, occorre ribadire che la legge regionale ha finalità diverse, relative alla classificazione delle attività (alberghiera o non alberghiera), e non può incidere sui rapporti privatistici e sugli obblighi che reciprocamente si assumono i condomini, in questo caso con un regolamento contrattuale». In materia – sottolineano i giudici di legittimità – rileva piuttosto la giurisprudenza della medesima Corte, la quale ha chiarito che l’attività di affittacamere, sostanzialmente analoga a quella in questione, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue dimensioni decisamente più contenute, richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle necessarie somministrazioni, ma anche la prestazione di servizi personali; in assenza di detta prestazione, quella cessione non può essere ricondotta all’attività di affittacamere, né, di conseguenza, essere sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo (Cass. civ., 8/11/2010, n. 22665).
Peraltro, sotto un ulteriore profilo, i ricorrenti hanno denunciato la correttezza della sentenza impugnata in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale del 14 novembre 2008, n. 369, la quale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale di un comma dell’art. 45 della Legge Regione Lombardia n. 15 del 2007, nella parte in cui condiziona al consenso dell’assemblea condominiale l’esercizio dell’attività di bed & breakfast in appartamenti situati in condominio; al riguardo, i giudici costituzionali avevano rilevato che una norma regionale non può ingerirsi nella materia dei rapporti condominiali tra privati. Tuttavia, il richiamo che di tale sentenza viene fatto nella fattispecie in commento non è corretto, dal momento che la Corte Costituzionale, diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, non avrebbe confermato che sarebbe illegittimo il sindacato del condominio sull’utilizzo delle singole abitazione quando non vi sia cambio di destinazione di uso, ma ha ribadito che «al legislatore regionale non è consentito incidere su un principio di ordinamento civile e, in particolare, sul rapporto civilistico tra condomini e condominio […]». La norma regionale contestata disciplinava il rapporto privatistico tra condomini e condominio in modo difforme e più severo rispetto alle previsioni del codice civile e, in particolare, dagli artt. 1135 e 1138 c.c. Pertanto, considerando che queste norme restringono i poteri dell’assemblea dei condomini a quelli fissati tassativamente dal codice e che la compagine assembleare non può porre limitazioni alla sfera di proprietà dei singoli condomini, a meno di una loro specifica ed espressa accettazione, nel caso esaminato dalla Corte Costituzionale, la situazione si presentava esattamente al contrario, con una delibera assembleare approvata a maggioranza che pretendeva di derogare pattuizioni regolamentari contrattuali – adottate all’unanimità.
In definitiva, «il problema che si è giustamente posto il giudice di appello per decidere la controversia era e rimane un problema sostanzialmente interpretativo della volontà espressa dai proprietari», ossia, nella fattispecie, una questione di interpretazione del regolamento condominiale contrattuale, che, vietando categoricamente un uso diverso da quello abitativo, non consente una destinazione dell’unità abitativa a bed and breakfast; pertanto – si conclude in sede di legittimità – «non si pone un problema di applicazione o violazione delle norme di legge richiamate nel motivo».
Il servizio offerto in una “civile abitazione” Si segnala in chiusura una pronuncia della Suprema Corte, che sembra invero manifestare un indirizzo interpretativo parzialmente differente rispetto a quello indicato: sempre in tema di esercizio dell’attività di bed and breakfast in condominio, i giudici di legittimità hanno infatti escluso che possa in tal caso parlarsi di cambio di destinazione d’uso dell’unità immobiliare in esso ubicata, in quanto tale attività si fonda sul fatto che il servizio è offerto in una civile abitazione (Cass. civ. 20 novembre 2014, n. 24707). In tale fattispecie, a fronte dell’apertura da parte di alcune condomine di un’attività di bed & breakfast negli appartamenti di loro proprietà, il condominio le aveva citate in giudizio per contrarietà di detta attività alla previsione regolamentare secondo cui «è fatto divieto di destinare gli appartamenti a uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato». Soccombente in appello, il condominio ricorreva davanti alla Suprema Corte, la quale ha tuttavia confermato la correttezza della pronuncia impugnata, nella parte in cui aveva rilevato che «la disposizione regolamentare, tenuto conto che la destinazione a civile abitazione costituisce il presupposto per la utilizzazione di una unità abitativa ai fini dell’attività di bed and breakfast (affermazione, questa, coerente con il quadro normativo di riferimento: art. 2, lett. a, del regolamento regionale Lazio n. 16 del 2008 , in cui si chiarisce che “l’utilizzo degli appartamenti a tale scopo non comporta il cambio di destinazione d’uso ai fini urbanistici”; in proposito, vedi anche Corte cost. sent. n. 369 del 2008), non precludesse la destinazione delle unità di proprietà esclusiva alla detta attività ».
Tale sentenza lascerebbe dunque intendere che l’espresso divieto all’esercizio dell’attività in questione in un’unità in condominio debba risultare in maniera specifica ed inequivocabile da una clausola regolamentare contrattuale.
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