INNOVAZIONI VIETATE E LESIONE DEL DECORO ARCHITETTONICO

images1Nel regime del condominio negli edifici, i rapporti tra l’esecutore delle opere e la pubblica autorità investita della tutela urbanistica non possono interferire negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall’art. 1120, comma 2, cod. civ. per la preservazione del decoro architettonico dell’edificio; ne consegue che, al fine di far accertare la legittimità, ai sensi della richiamata disposizione, della innovazione eseguita dal proprietario di un piano o di una porzione di piano in corrispondenza della sua proprietà esclusiva, è irrilevante che l’autorità pubblica preposta alla indicata tutela abbia autorizzato l’opera.

Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione. Il principio, enunciato dalla Corte regolatrice in precedenti arresti, è stato ora ribadito un una recente pronuncia (Cfr., Cass. civ. Sez. II., Sent. 6 ottobre  2014, n. 20985, Pres. Oddo, Rel. San Giorgio, P.M. Celeste).

Nel caso di specie, in accoglimento della domanda introdotta dal Condominio, due condomini, proprietari dell’unità immobiliare situata all’ultimo piano dello stabile condominiale, erano stati condannati dal giudice di primo grado alla rimozione dei macchinari di condizionamento apposti sulla facciata estrema del fabbricato ed all’integrale risarcimento dei danni. Proposto appello, la corte del merito aveva respinto il gravame adesso confermato anche dalla decisione del giudice di legittimità. Secondo la Corte, premesso che il fabbricato de quo aveva struttura a linee architettoniche residenziali ed era anche inserito in un ambito paesaggistico protetto, la sentenza impugnata ha correttamente condiviso l’affermazione del primo giudice secondo la quale era facilmente evincibile dalle fotografie prodotte la lesione del decoro architettonico dell’edificio derivante dalle dimensioni delle due apparecchiature e dalla loro collocazione quasi “aggrappati” alla gronda del tetto, di cui rompevano la continuità. La decisione impugnata, puntualizza ancora la Cassazione, contiene in vero una duplice “ratio decidendi” in quanto da un lato, come detto, sottolinea che i condizionatori erano quasi aggrappati alla gronda del tetto, del quale rompevano la continuità, e, dall’altro, che essi costituivano elementi che, unitamente al rilievo dell’arbitrarietà di un uso della parte più alta della facciata comune, in luogo della parte che delimita la singola unità immobiliare in corrispondenza dei balconi privati, determinavano la violazione dell’art. 1102 cod. civ. a mente del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri di farne uso.

Degna di particolare menzione è infine la questione – già sollevata nei gradi merito – scaturente dal provvedimento in sanatoria delle opere realizzate emesso dall’amministrazione comunale. Infatti, in conformità ad una risalente pronuncia (cfr., S.U. n. 2552/1975), la decisione ribadisce che i rapporti tra l’esecutore delle opere e la pubblica autorità investita della tutela urbanistica non possono interferire negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall’art. 1120, comma 2, cod. civ. per la preservazione del decoro architettonico dell’edificio. Da ciò consegue, conclude la Suprema Corte, che, al fine di far accertare la legittimità, ai sensi della richiamata disposizione, della innovazione eseguita dal proprietario di un piano o di una porzione di piano in corrispondenza della sua proprietà esclusiva, è irrilevante che l’autorità pubblica preposta alla indicata tutela abbia autorizzato l’opera.

Fonte: Sole24h

Riferimenti: Legge(2)